venerdì 15 marzo 2013

Intervista a Maurizio Cattelan: " Beppe Grillo come Silvio Berlusconi, un ottimo showman"


Fonte :http://www.huffingtonpost.it
“Intorno ai miei lavori si è spesso sollevato un polverone mediatico sensazionalistico che ne ha impedito una lettura approfondita, che andasse oltre alla barzelletta. Mi sembra che la stessa cosa avvenga in politica: si leggono dichiarazioni a caratteri cubitali sui grandi scandali, ma raramente si esaminano i programmi. Il risultato è una analisi superficiale dei contenuti: questo vale sia per l'arte sia per la politica. Suonerà provocatorio, ma cosa succederebbe se invece di scegliere una faccia potessimo votare esclusivamente i contenuti dei programmi?”.

Così parla all’Huffington Post Maurizio Cattelan, uno degli artisti contemporanei più influenti del panorama internazionale. Iconoclasta, incline alla provocazione e dotato di raffinato acume, Cattelan ha annunciato – nel 2011 – il ritiro dalle scene all’apice del successo. Ma se gli chiediamo chi oggi nel panorama politico possa considerarsi un innovatore dotato di spirito di provocazione, l’artista ammette la mancanza di un vero cambiamento, soprattutto nei modi in cui la politica si declina.
Nel 1999 ha appeso al muro il suo gallerista, oggi secondo lei chi andrebbe attaccato al muro tra i candidati premier (Berlusconi, Bersani, Monti, Grillo, Ingroia)?
In democrazia la responsabilità sta nelle mani di chi vota, i candidati non sono altro che l’espressione delle scelte degli elettori. Quello che più mi colpisce è la mancanza di una risposta spontanea a ciò che stiamo subendo, l’apparente incapacità di scendere in piazza e reagire. Dall’era delle ideologie sembriamo piombati nell’era glaciale: siamo diventati spettatori della nostra stessa rovina. Parafrasando un lavoro di Joseph Beuys del 1972, oggi si potrebbe dire “La Crisi siamo Noi”: sembra non riguardarci direttamente, eppure siamo proprio noi ad affondare.
Le novità in ambito politico oggi sono rappresentate da Renzi, Grillo e Ingroia, ma si tratta di vera innovazione o di stanche riedizioni della vecchia classe politica?
Sono le modalità a dover cambiare, non tanto le persone, ma non vedo grandi trasformazioni da questo punto di vista. Idealmente mi affascinano le potenzialità della democrazia diretta: possiamo esprimere il televoto nei reality e nei talent show, ma non sui temi davvero rilevanti. Abbiamo a disposizione una tecnologia immediata e veloce, eppure ci nascondiamo ancora nelle cabine elettorali ogni cinque anni. Come se per comunicare urgentemente usassimo una raccomandata invece di scrivere un sms.
Pensa che il vaffa di Grillo abbia la stessa valenza del suo dito medio davanti alla Borsa di Milano? Cosa ne pensa del M5s?
Trovo che Berlusconi abbia più elementi in comune con Grillo di quanti non ne abbia io. Entrambi sono ottimi showman…personalmente non credo di essere alla loro altezza in materia d’intrattenimento! In generale, la cultura televisiva mi sembra radicata in ogni ambito, come se tutto il paese fosse governato da un telecomando




Identità territoriale: nasce il movimento “Anima Lupus”


Fonte: www.sora24.it

Riceviamo e pubblichiamo la seguente nota stampa a firma del movimento “Anima Lupus”
Definire in modo corretto il concetto di identità culturale oggi, a fronte delle innumerevoli conseguenze che invece concetti come globalizzazione o mercato globalizzato hanno apportato inevitabilmente in ogni ambito della nostra esistenza, pare questione ineludibile.
Questa la mission prioritaria del movimento “Anima Lupus”, ossia quella di considerare il concetto di identità e di appartenenza ad un determinato territorio, alla pari della propria identità biologica. Il nostro codice genetico culturale è infatti strettamente legato ad esempio alla geografia del territorio che ci circonda, ai mestieri che all’interno di questo possono essere svolti, ed alla distribuzione demografica interna al territorio stesso.
Per ciò che concerne la Ciociaria – il Basso Lazio e la Terra di Lavoro più in generale – il processo culturale che ha coinvolto il nostro territorio, soprattutto a partire dall’Unità d’Italia (ma non solo), ha subito un serio danno proprio in seno alla sua immagine, soprattutto a causa della creazione di stereotipi che poco hanno a che vedere con le nostre radici culturali e storiche più autentiche .
“Il progetto dunque del movimento Anima Lupus è quello di salvaguardare e valorizzare il nostro cospicuo patrimonio culturale, mettendo in atto un programma di ricerca e riconoscimento delle diverse tradizioni, con particolare riferimento a quelle orali e immateriali perché più suscettibili a diluirsi nel tempo. Tutto questo attraverso la creazione di un vero e proprio laboratorio che predisponga progetti al fine di ottenere contributi e fondi di diversa provenienza, necessari al sostentamento delle iniziative”, così Drusiana Vetrano, portavoce del movimento e già membro del direttivo FNL. “Le nostre risorse artigianali, artistiche e naturali meritano inoltre strategie di marketing per la loro valorizzazione. A tal fine è stano necessario unire sinergicamente diverse competenze presenti sul nostro territorio”. La presidenza del movimento è stata affidata ad Aldo Chiari, Maestro di Muay Thay responsabile della palestra Total Training Gymnasium/Team Naresuan di Sora nonché preparatore atletico del Veroli Basket, il Responsabile Organizzativo del movimento è invece Simone De Biase, Libero Professionista, Presidente e Fondatore del Circolo dei Briganti e dell’Associazione Gavia”.
P.S.  “Abbiamo scelto il Anima Lupus perché con questo nome intendiamo rievocare un aspetto della vita dei briganti, di chi cioè ha combattuto in nome della propria terra e contro un finto processo di unificazione che celava invece interessi economici. Quello che ha caratterizzato la vita dei briganti è il fatto che questi ultimi fossero considerati dall’invasore piemontese alla stregua dei lupi feroci, i loro corpi esanimi venivano infatti spesso mostrati come trofei di caccia dai soldati sabaudi. Il nome di “Anima lupus” vuole dunque rievocare lo spirito brigantesco e contestualmente la loro difficile condizione di braccati”
Simone De Biase



giovedì 14 marzo 2013

"Le donne non sanno dipingere molto bene, è un dato di fatto."


Fonte: Exibart.com
Ha compiuto 75 anni pochi giorni fa, e Der Spiegel, il più autorevole quotidiano tedesco, ha deciso di omaggiarlo con una bella intervista. Peccato che Georg Baselitz, uno dei più importanti pittori tedeschi insieme a Gerhard Richter, si sia lasciato prendere un po' la mano, e sia incappato in una dissertazione, piuttosto empirica, sul gentil sesso e sulla sua incapacità di dipingere. Esatto, secondo l'artista, il doppio cromosoma xx non avrebbe le caratteristiche adatte per poter avere nel destino quello di essere un bravo artista, o più precisamente, pittrice. «Le donne non sanno dipingere molto bene, è un dato di fatto. Lo comprovano test di mercato, la prova del valore. Ci sono eccezioni, certo, come Agnes Martin o Paula Modersohn-Becker. Ma nessuna è Picasso, Modigliani o Gauguin. Nonostante le studentesse siano la maggioranza che frequenta le Accademie di Belle Arti». Et voilà, la polemica è servita, anche se Baselitz prova a correggere il tiro con motivazioni più psicologiche: «Gli artisti maschi sfiorano spesso l'idiozia, mentre è importante per una donna non esserlo, se possibile, anche per il loro essere madri. Le donne sono più eccezionali nel campo della scienza». Il pittore tedesco ha poi rimarcato il "talento" di Marina Abramovic, ma ancora una volta secondo Baselitz si tratta di un "accessorio" piuttosto inutile per la pittura, perché si tratta di una seduzione in grado di arrivare solo con l'interpretazione: nulla a che vedere con il "mestiere fisico" dell'arte, possibile per secoli solo agli uomini. E tutt'ora di pertinenza maschile secondo il punto di vista di Baselitz. Qualche altro nome di brave donne-artiste secondo il pittore tedesco? Helen Frankenthaler, Cecily Brown e Rosemarie Trockel, «ma c'è un sacco di amore e simpatia nella sua arte, e l'arte deve essere brutale contro la cosa in sé, contro ciò che già esiste» dice della produzione della Trockel. La pittura, insomma, è una cosa per duri. I commenti più carini che si sono levati sull'argomento, finora, hanno definito le convinzioni di Baselitz "le sparate di un vecchio str...o". Quella che lui ha dichiarato debba essere la condizione essenziale per essere grandi pittori. Chissà che ne pensano, per esempio, Marlene Dumas, Tracey Emin o Kiki Smith.

mercoledì 13 marzo 2013

Riconoscibilità del "marchio" dell'artista

Vittorio Sgarbi:"Oggi la produzione di molti artisti contemporanei obbedisce indubbiamente a regole diverse rispetto al quella della ricerca del capolavoro… spesso aderisce a regole di tipo mercantile, e punta più alla quantità che alla qualità. Del resto, tra le regole tipiche del sistema contemporaneo c'è quella della riconoscibilità del "marchio" dell'artista, esattamente come avviene per altri prodotti di consumo: così, ad esempio, tu riconosci Burri per l'utilizzo dei sacchi, de Chirico perché riproduce manichini, Fontana per i tagli, e così via. La ripetizione di uno stesso modulo stilistico è allora perfettamente congeniale alla riconoscibilità dell'artista, e questo contrasta, evidentemente, sia con la nozione di "capolavoro", che è di per sé unico e irripetibile, sia con l'idea astratta di "bellezza", che in questo tipo di ragionamento non trova più posto."




martedì 12 marzo 2013

"Il fine della moralità cristiana non è la felicità terrena"


"Il fine della moralità cristiana non è la felicità terrena, ma l'infelicità terrena. Il fine del cristiano pratico, che vive nel mondo, non è il successo mondano, ma il non-dover-più-agire o addirittura l'insuccesso. Questa infelicità e questi insuccessi sono mezzi e gradi del distacco dal mondo. Esiste ancora cristianesimo? Pare che abbia già raggiunto lo scopo di distaccarsi dal mondo, e cioè di uscire dal mondo. Ma prima di congedarsi ha lasciato sui muro un'iscrizione che non è ancora scomparsa: il mondo è spregevole, il mondo è cattivo, il mondo è corruzione". 
  • (Frammenti postumi "Friedrich Nietzsche)




Baudrillard e il funerale dell'arte contemporanea

Vi segnalo un articolo molto interessante di Luca Beatrice
Fonte : http://www.ilgiornale.it/news/cultura/baudrillard-e-funerale-dellarte-contemporanea-894417.html






Baudrillard e il funerale dell'arte contemporanea

Negli anni '90 il filosofo e sociologo francese anticipò le critiche attuali di Bonami alla spettacolarizzazione del "nonsense". Seppellendo qualsiasi speranza estetica...
«L'arte contemporanea ha finito il suo ciclo e dovrà ricominciare da qualche parte, ma non si sa da dove». A dirlo non è un difensore del classico né un apocalittico convinto che il male assoluto risieda nel presente, bensì Francesco Bonami, il più celebre tra i curatori italiani che dopo aver diretto biennali in tutto il mondo e scritto acuti pamphlet, pare arrendersi all'evidenza che davvero l'arte di oggi sia portatrice di nonsense e che stia miracolosamente in piedi perché un ristretto giro di addetti ai lavori ha deciso così.

Bonami, che sta tentando di spiegare l'arte in tv a un pubblico almeno sulla carta più vasto di quello dei frequentatori di musei e gallerie, è stato intervistato da Pif, alias Pier Francesco Diliberto, nel programma Il testimone su MTV, proprio per andare a fondo sul mistero di quest'arte così astrusa e respingente, il cui mito parte dal 1917 con il primo ready made di Marcel Duchamp, prosegue all'inizio degli anni '60 con la Merda d'artista di Piero Manzoni, fino ad arrivare, nel 1993, all'esposizione di una scatola da scarpe vuota alla Biennale di Venezia, firmata Gabriel Orozco. «Lo fece - spiega Bonami - perché probabilmente non aveva niente da dire».

Certo, l'approccio più ordinario nei confronti del contemporaneo consiste nel prendere le distanze da ciò che non si capisce, però l'accusa di prevenzione non sembra sufficiente perché oggi più che mai l'arte si sottrae al giudizio della logica e neppure gli esperti sono in grado di comprendere il perché delle cose. E non serve continuare a parlare di provocazione, quando sono i tic comportamentali a prevalere, il cliché dell'artista ispirato che non deve rendere conto a nessuno e non si interroga sulle conseguenze del suo fare. Lo afferma candidamente l'inglese Martin Creed, già vincitore del Turner Prize, che in una stanza vuota accendeva e spegneva la luce a intermittenza: «ho fatto questo perché non avevo nessun'idea».
Se per un verso l'arte attrae i media per l'indubbia capacità di costruire fenomeni e contesti sociali specchio della nuova upper class globale, si riscontra altresì il fallimento di una formula ormai quasi centenaria che ha perso lo smalto corrosivo di un tempo e ora, al massimo, diverte ma il più delle volte fa incazzare. Di fronte alla richiesta di spiegazioni, direttori di museo e artisti si nascondono dietro un sorrisino imbarazzato o, peggio, nella totale afasia. Non succedeva certo né con Duchamp, Warhol e neppure Koons, attenti a dimostrare la validità del loro pensiero: i presunti eredi si rivelano pallidi simulacri comportamentali e l'opera, privata di qualsiasi valore intrinseco, ha terminato così la sua corsa.
Viene a proposito la riedizione di alcuni scritti del filosofo francese Jean Baudrillard (scomparso nel 2007) nell'agile volumetto Il complotto dell'arte (SE, pagg. 84, euro 12) per leggere il fenomeno in tutta la sua evidenza: questa volta la morte dell'arte è conclamata e non più rinviabile. Se si prescinde dall'ostilità di qualche passaggio linguistico, a Baudrillard si deve riconoscere una lucida preveggenza. Nel 1994 parlava di «generale malinconia della sfera artistica», in cui «siamo destinati alla retrospettiva infinita di ciò che ci ha preceduti». Se Bonami oggi sostiene che bisogna proteggersi dall'arte divertente, dall'artista idiota, Baudrillard metteva in guardia sul rischio di «ironia fossile» per un'arte caricatura di se stessa. Quando un sistema diventa parodia, anche l'effetto eversivo si traduce in banalità a effetto pubblicitario. L'arte del XXI secolo non è più iconoclasta perché non distrugge immagini come avveniva fino alla pittura astratta, ma anzi fabbrica «una profusione di immagini in cui non c'è niente da vedere».

Prima di andarsene, Baudrillard fece appena in tempo ad accorgersi del crescente successo dell'artista simbolo della nullità contemporanea, quel Tino Sehgal che non concede interviste, non permette di filmare o fotografare le sue performance dove non accade niente di rilevante, tranne il momento in cui incassa lauti assegni da privati collezionisti invasati e musei pubblici irresponsabili. Quest'ultima generazione di artisti ha perfettamente compreso l'essenza pubblicitaria del mondo, applica una messinscena e persino il cinismo di Warhol appare datato e ingenuo. Esiste infatti una differenza tra i profeti del nulla e la nullità eretta a godimento estetico perverso: «la maggior parte dell'arte contemporanea si dedica proprio a questo: ad appropriarsi della banalità, degli scarti, della mediocrità eleggendoli a valore e a ideologia».
Se ne potrà mai uscire? Non certo continuando a rivolgere lo sguardo al passato. Baudrillard affermava di non provare nostalgia per vecchi valori estetici: «l'arte può avere ancora un grande potere di illusione. Ma la grande illusione estetica è diventata una disillusione... e dopo un po' gira a vuoto». Tocca allora arrendersi all'evidenza che non sia più possibile applicare il criterio del giudizio critico sul valore dell'opera ma solo quello della spartizione amichevole e conviviale. Tutti insieme, tutti vestiti di nero, al funerale dell'arte contemporanea.