sabato 16 febbraio 2013

Vote Art


 Artisti per l'arte al CAM
a cura di Antonio Manfredi
Inaugurazione domenica 24 febbraio 2013 ore 18 al Museo CAM
Via Duca D'Aosta 63 a Casoria (Napoli)



Info : http://www.casoriacontemporaryartmuseum.com/blog/

giovedì 14 febbraio 2013

La personalita' artistica


Dalle analisi fatte è emerso che molti artisti, nel corso della propria vita, si sono dovuti confrontare con l’emarginazione e la solitudine; spesso prima di affermarsi e ottenere consenso sono stati derisi; si sono sentiti incompresi e stranieri rispetto agli altri e perfino rispetto a se stessi. Nel massimo dell’espressione originale dunque, l’artista tende a godere di solitudine.
Mozart affermava, ad esempio, che nella massima solitudine, ovvero quando si sentiva veramente se stesso, le idee lo visitavano .
La ricerca della solitudine è un tratto ricorrente tra quelli che incarnano la leggenda dell’artista. Anche se, quella della solitudine, è una dimensione interna che appartiene un po’ a tutti, ciò che rappresenta la particolarità è la scoperta della propria diversità, cioè la solitudine dell’estraneamento dal contesto in cui si è calati.
Il peso della diversità è veramente difficile a sostenersi, e basterebbe volgere lo sguardo ai grandi artisti, da Leonardo a Van Gogh, a Kafka, per capirne tutta la  sofferenza.
Essere diversi significa non avere alcun punto di riferimento esterno cui appigliarsi, essere costretti a rapportarsi con un mondo al quale non ci si sente di appartenere e i cui ritmi, qualità e giochi non hanno alcun senso profondo. Occorre molto coraggio per coltivare la propria diversità perché essa si oppone con forza alla menzogna collettiva, si costituisce come norma individuale contro i pregiudizi della moltitudine. Numerosi sono, infatti, coloro che hanno vissuto nel silenzio della creazione e non hanno lasciato alcuna discendenza tranne che le loro opere. Il ritiro dal mondo diviene, per queste persone una necessità e un istinto di conservazione.
Un metodo, spesso utilizzato dai creatori, per evadere e isolarsi dal mondo circostante, è scalare i ritmi del sonno, non a caso è stato riscontrato che molti sono gli artisti sofferenti di insonnia, che hanno sconvolto il proprio orologio biologico, lavorando di notte e dormendo di giorno.
Un altro fattore emerso è che, queste personalità sembra vivano, quasi sempre, un rapporto simbiotico e adesivo con le proprie opere, un forte attaccamento emotivo. “Ogni quadro, ogni scultura è un pezzo del “Sé” emozionale che si smarrisce nel deserto delle passioni; vivono come madri che temono per l’assassinio delle proprie creature ”.
La Segal sostiene che, può definirsi  bisessuale l’atteggiamento che  l’artista assume nei confronti della propria opera . Con essa, in altri termini, si è al tempo stessi padri, perché fecondatori, e madri, perché si assume un atteggiamento ricettivo.
Con l’opera d’arte, quindi, ci si identifica, cioè coi ruoli di padre e di madre. E’ lo stesso Michelangelo a confermare questa teoria; quando gli veniva chiesto, infatti, per quale motivo non si fosse sposato egli rispondeva che le sue opere erano i suoi figli.
Anche Kohut, ha sottolineato la natura particolare del rapporto tra il creatore e la sua opera, una natura narcisistica; secondo l’autore,  l’opera assumerebbe per l’artista, la stessa funzione che hanno per i bambini gli oggetti-Sé narcisistici. Seguendo questo ragionamento, il prodotto è vissuto come un’estensione del Sé e ciò spiega anche tanti fenomeni, come la difficoltà a separarsi dall’opera compiuta e la sofferenza a vederla manipolata da altri. Su questo punto Kohut scrive: “Inconsciamente si riconosce che l’opera dell’artista è immutabilmente legata alla personalità del suo creatore e non deve essere alterata dagli interventi di un altro”.
E’ altrettanto ricorrente il fatto che, nella maggioranza dei casi, sembra che gli artisti non lavorino per essere famosi o perché la propria opera verrà pagata molto. Una motivazione di questo tipo è talmente superficiale che non ha nessun significato. E’ fondamentale, al contrario, la soddisfazione che questi ricevono dal fare ciò che si ritiene importante soggettivamente.

Segue Fonte : http://www.mentesociale.it/psicologia/articoli-di-sessuologia/578-la-personalita-artistica.html?showall=&start=5

martedì 12 febbraio 2013

"La bambina malata" 1896 Goteborg,Kunstmuseum."






"La bambina malata" 1896 Goteborg,Kunstmuseum."
"Dolore e morte,sono stati al mio fianco sino al giorno in cui sono nato"
  Edvard Munch

L'infanzia di Munch,segnata in maniera indelebile dalla perdita dei suoi cari,diventati i temi ricorrenti sdei suoi capolavori. Uno dei soggetti piu' frequenti e' "la bambina malata"
Munch ne riprodusse svariati modelli,alcuni in bianco e nero,altri a colori.
La bambina e' Sophie,sua sorella, morta a 14 anni di tubercolosi,il simbolo della sofferenza per la dipartita di tutta la sua famiglia. Durante l'esecuzione dell'opera.Munch afferma:" non ero solo su quella sedia mentre mi apprestavo a dipingere,erano con me tutti i miei cari,a partire da mia madre" L'opera fu replicata,realizzata altre quattro volte su tela e con altre tecniche grafiche.

L'arte e' contemporanea



L’opera d’arte è, e basta. Così come la bellezza è. L’arte non ha bisogno di specialisti per essere capita.”
“Conviene ribadire due concetti fondamentali e apparentemente contraddittori: 1) tutta l’arte è arte contemporanea; 2) contemporaneo è un dato non ideologico, ma semplicemente cronologico. È questa la forza dell’arte in divenire, che va ritenuta contemporanea non in quanto più o meno sperimentale, più o meno avanzata, ma solo in quanto concepita, elaborata ed espressa nel nostro tempo. Non c’è altro modo di essere contemporanei che essere qui e ora. Così, insieme alla contemporaneità di ciò che esiste, c’è la contemporaneità di ciò che è esistito e continua a vivere.”
Vittorio Sgarbi

Figure deformate ,violente,esasperate



L’Espressionismo recupera le tendenze spiritualistiche e primitive espresse nel tardo Ottocento, specialmente con Edvard Munch che e’ considerato il precursore di questa corrente artistica.
All’esperienza puramente visiva e sensoria della realtà propria dell’Impressionismo, l’Espressionismo contrappone quella di una realtà spirituale che si proietta sull’immagine piegandola e deformandola alla propria soggettività.
La pittura espressionista si basa sulla semplificazione e sull’appiattimento volutamente elementare delle forme con un violento e talora esasperato cromatismo che diventa il nucleo espressivo dell’immagine.
L’Espressionismo tedesco crea figure dure, deformate, violente, le forme sono esasperate e il cromatismo è intenso e quasi sgradevole.
(Areeprogetto)

Espressionismo Tedesco


"Contro la falsità della vita e della cultura borghese; la loro tensione verso la “immediatezza e sincerità” li spinge alla scelta di un linguaggio pittorico “primitivo”. Secondo loro, saper dipingere in senso accademico non è utile, essi credono che il pittore non deve ricavare l'apparenza dell'oggetto (impressione) ma deve imprimere sulla tela, con forza, l'emozione assolutamente spontanea da loro suscitata (espressione). La pittura “sensitiva” degli impressionisti, con gli espressionisti diventa “volitiva” (volontà di cambiare il mondo)"

Autoritratto

Autoritratto: Rappresentazione figurativa di un artista realizzata dall’artista stesso; nell’ambito del genere del ritratto, costituisce un sottogenere dai caratteri e dalla storia ben definiti.
http://autoritratti.wordpress.com/testi-essays/autoritratto-encarta/
 

Il “ritratto interiore”

Si irradia grazie alla capacità dell’artista di far parlare - soprattutto attraverso lo sguardo - ansie, sussurri, cenni d’intesa, esitazioni, smorfie di dolore. L'immagine diventa allora così “verosimile” da rubare la vita ai viventi, in grado di commuovere e durare più della realtà."

                          
                              http://www.ticket.it/minisiti/Ritrattointeriore/mostra.htm

L'Autoritratto...


Si usa uno specchio di vetro per guardare il viso; e si usano le opere d’arte per guardare la propria anima.
(G. Bernard Shaw)
Ogni ritratto dipinto con passione è il ritratto dell’artista, e non del modello.
(O.Wilde)

Come cambia il simbolismo delle immagini


Van Gogh è un’icona dei nostri giorni. È colui che attraversa la nostra sensibilità percettiva per arrivare diretto alla fonte di ogni nostra emozione. Van Gogh anima errante in un mondo impalpabile e vero,solo, dove il vento gli fa piegare ed incurvare spalle e ginocchia mentre per i giganti del vivere superficiale ed inconcludente non è che una lieve brezza che riesce a sollevare solo le foglie e relegarle negli angoli del quieto vivere, del prendi e non ti curare, del parla e non riflettere, dello sbircia e non guardare, del godi e non pensare. Quanta vita hanno trasportato quelle scarpe, quanta attesa hanno calpestato quelle suola, quante volte mani tremanti di stanchezza e ruvide di fatica hanno legato quei cordini che hanno tenuto unite quelle tomaie incartapecorite dall’acqua e dalla polvere, dal gelo e dal sole, arroventate nei campi di maggesi. E il fruitore vede e percepisce nella sua capacità immaginativa quella presenza così sublime e ieratica che nel suo rappresentarsi restituisce all’attenzione di chi riesce ad entrare nella dimensione dell’estetico della grazia un fluido, una compartecipazione che può dare la vertigine di entrare in una dimensione superiore, dovuta alla forza attraenteemanata da quell’immagine. E ci prefiguriamo quelle scarpe che hanno dovuto prendere tante volte la forma di piedi diversi,che sono passate dalla morte alla vita, che hanno sentito crescere dentro di loro le ossa e la pelle martoriata dalle sue rugosità, dalle sue troppe ricuciture, consolate e dissetate qualche volta dalla saliva acre e salata di una bocca riarsa dal sudore che sputa su quel povero oggetto l’ultimo rigurgito di una volontà di chi sa di dover rinunciare a restituire colore e lucentezza ad una materia che è morta ed è incapace di rinvigorire. Quelle scarpe allineate con attenzione al centro di una superficie,vivono la loro vita autonoma e libera, messa allo scoperto nella nudità di un atto che è solo un mostrare senza ammonire, che è solo un esserci senza voler ingombrare, che è solo presenza senza testimonianza. E l’uomo che soffre l’esistere,e per questo si prova arappresentarsi perimmagine, anche con la raffigurazione di quelle povere cose che un tempo mostravano la dignità di essere scarpe, ora povere e storpie, scolorite e consunte. Quell’uomo ha voluto ancora tentare di ridare loro l’orgoglio di essere nella completezza dalla loroidentità. Perché l’uomo che ha il potere di trasformare e rendere eterne le creature della sua mente immaginifica, l’uomo mago e prestigiatore e illusionista resta poi prigioniero delle sue immagini e nella loro malia si lascia attrarre. 
Gli attuali e accreditati nuovi ricercatori della sede delle emozioni potrebbero impunemente e con prove alla mano affermare che non c’è sortilegio, che non c’è fascino o seduzione, si tratta comunque solo ed unicamente di reazioni chimiche che il nostro cervello impegna quando c’è motivo di risposta ad un’azione: una sorta di secrezione delle mucose cerebrali conseguente ad uno stimolo. Come affermano i comportamentismi, gli psicologi, gli studiosi del comportamento. E le scarpe di Van Gogh, i suoi quadri, sortiscono in noi le stesse reazioni che suscita la presenza di una succolenta bistecca per un cane che, dopo diverse prove ed errori, tentativo dopo tentativo, soddisfa le attese dell’addestratore e assimila il suono del campanello all’approntarsi del cibo.
Tutto ciò può sembrare quanto meno irriverente e capace solo di gettare nello sconforto i poveri fruitori che si erano illusi di possedere la capacità percettivaed emotiva della meraviglia, di saper com-patire la sensazione inebriante del bello, del sublime. Ma le ricerche sul cervello ci vogliono convincere che tutto dipende dalle sue connessioni neurali e con questo tentano di gettare cenere sul fuoco della creazione artistica e della percezione estetica dense di atmosfere incontaminate e di esperienze esaltanti. Allora il grande artista è solo uno che sa far scattare il meccanismo che dà luogo alla reazione neurale dell’emozione. Van Gogh e le sue figure contorte, in completa balia degli elementi, dentro cieli plumbei sconvolti dal loro stesso esistere non sono altro che il risultato di stimolazioni chimiche, un abile espediente del cervello alla stregua di quelle situazioni per cui anche un cane riesce ad assimilare il suono del campanello alla bistecca. E l’arte? Il valore del bello? È solo un abile espediente che da un po’di tempo a questa parte introduce alla prelibata tavola imbandita dai mercanti d’arte, dai battitori d’aste, datutto un mondo di gente che si nutre delle illusioni, delle sofferte contorsioni mentali di un meccanismo freddo e perfetto quale è il cervello, anche delle persone che sembrano voler affermare la presenza di forze diverse ed estranee ai suoi meccanismi.
senso hanno i loro prodotti se tutto si riduce ad una lettura mediata dalla funzione cerebrale che si consuma e si risolve nella dimensione chimica e magnetica delle parti interessate a specifici e definiti stimoli che sono sensitivi e non percettivi, che dall’apparire, dal fenomeno ricevono spinta e necessità di soluzione che, come nev
Quale fine ingloriosa e priva di senso è riservata a quelle povere scarpe consunte e lacerate dalla lunga, oltre ogni possibile capacità di resistere, usura del tempo, alla fatica sopportata e sofferta di chi quelle scarpe usa e consuma insieme alla sua incapacità di opporsi ad un destino che lo vuole stremato dall’esistere e lacerato dalla sofferenza del faticare senza speranza, del deformarsi senza attesa. Quelle scarpe, ridotte a povere cose deformi, sono scarpe da buttare, quando hanno interpretato il loro ruolo e superato il momento che segue la reazione allo stimolo.
E l’arte, tutta la grande tradizione di pensiero che la fa ritenere atto sfuggente ad ogni possibile definizione, tanto da coinvolgere e avvolgere nel suo evento natura e pensiero, azione ed atto, anima e corpo, immaginazione ed emozione, percezione ed azione, altro non è che uno specchio incantatore dove le cose che vengono riflesse sono il risultato di abili espedienti tecnici che le danno aspetto diverso e distorto. Immagini restituite da una superficie fredda ed estranea, meccanica ed inconsapevole. Che senso e valore può avere un’immagine riflessa, filtrata e creata dalla funzioneconnettiva di un decodificatore che noi chiamiamo cervello e che l’attuale ricerca apre alle nuove frontiere telematiche. Ma cosa rappresentano le immagini dell’arte, che e al sole, tutto fa sparire nella dissolvenza sostitutiva di eventi che, volta a volta,vengono cancellati da altri eventi, che il cervello classifica e organizza secondo criteri che restano nella pura e semplice fenomenologia della materia cerebrale.

Ornella Bovi